Rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Diritti Umani in Eritrea

Il 4 giugno 2016 è stato pubblicato il Rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Diritti Umani in Eritrea, istituita un anno fa in seguito al sempre più crescente numero di uomini e donne eritree richiedenti asilo politico in altri paesi. Il rapporto si basa su 550 interviste (di cui 100 a donne eritree) condotte in paesi terzi (Etiopia, Gibuti, Germania, Italia, Svezia, Svizzera, Regno Unito, e Stati Uniti) data l’impossibilità di avere accesso a dati in loco e di visitare l’Eritrea, a causa della totale mancanza di collaborazione da parte del governo di Isaias Afewerki.

Il quadro che emerge dal rapporto è allarmante, anche se purtroppo già noto. Le violazioni dei diritti umani in Eritrea sono “sistematiche e diffuse” e perpetrate dalle istituzioni e dal governo. Le Nazioni Unite a tal riguardo accusano “le forze armate eritree, in particolare l’esercito, l’ufficio di sicurezza nazionale, le forze di polizia, il ministero dell’informazione, quello della giustizia, il ministero della difesa, il Fronte Popolare per la Democrazie e la Giustizia (al potere dalla Liberazione Eritrea), l’ufficio di presidenza, e il presidente” di essere i diretti colpevoli di questa situazione.

Secondo il rapporto, infatti, governo e istituzioni hanno creato un sistema pervasivo di spionaggio, controllo e repressione sia all’interno del paese stesso, sia tra le comunità della diaspora eritrea del mondo (spesso accusate di fomentare l’opposizione al governo di Afewerki) che ha portato ad arresti arbitrari, a detenzione incommunicado, torture, scomparse di persone e addirittura ad esecuzioni extragiudiziarie. Le ultime hanno colpito in particolare donne e uomini eritrei accusati di “collaborazione con il nemico [l’Etiopia]”, di oltrepassare i confini nazionali e di violare la sicurezza nazionale. Nessun cittadino eritreo è libero di muoversi all’interno del paese e oltre confine, in nome della sicurezza nazionale e dell’ordine pubblico. Migrare è quindi un reato.

In Eritrea non esiste libertà di stampa e di opinione. Ricordiamo che nel 2001, 15 esponenti politici furono arrestati per aver pubblicamente sollecitato il presidente ad avviare aperture democratiche nel paese, e i giornali indipendenti furono costretti a chiudere. Le condizioni degli arrestati nei luoghi di detenzione sono riprovevoli. Costretti a vivere in condizioni disumane, a subire torture, maltrattamenti e violenze, molti detenuti scelgono il suicidio.

Pesanti violazioni dei diritti umani sono perpetrate anche durante il servizio nazionale, obbligatorio per uomini e donne dall’età di 18 anni e di durata di fatto indefinita. La Commissione d’Inchiesta ha intervistato persone che erano in servizio da 17 anni prima di prendere la decisione di scappare dal paese. I racconti degli intervistati sono sconcertanti:  durante il training militare gli arruolati sono spesso deprivati di acqua, cibo, servizi igienici e trattamenti medici e soggetti a umiliazioni, se non a torture. Molti muoiono durante il servizio militare o subiscono danni psicologici irreparabili, soprattutto le donne, vittime di violenze sessuali, obbligate a svolgere servizi domestici e a vivere in schiavitù. Tutte le donne e gli uomini eritrei arruolati sono costretti al lavoro forzato per anni.

Ad oggi, sono circa 5000 gli eritrei che ogni mese scappano da questa situazione in cerca di asilo politico in altri paesi, in particolare in Europa. La maggior parte sono giovani, e aumenta sempre di più il numero delle donne che fuggono dalle violenze sessuali, dalle torture e dalla schiavitù. L’allarmate rapporto contribuisce a rendere sempre più di dominio pubblico le violazioni dei diritti umani in Eritrea, e la gravità della situazione ha portato alla decisione da parte delle Nazioni Unite di proseguire per un altro anno le indagini per valutare se l’Eritrea stia commettendo “crimini contro l’umanità, per i quali si richiede l’intervento della Corte penale internazionale.